International Revolutionary Youth Camp

Che tipo di anticapitalismo queer può aiutarci a lottare contro le oppressioni LGBTI?

giovedì 4 agosto 2016 di Antoine

Buon giorno a tutti voi favolosi compagni.
Prima di affrontare l’oppressione delle soggettività lgbtiq e le relazioni tra marxismo, anticapitalismo e queer , credo sia necessario definire alcuni concetti. Iniziamo con il termine genere: la definizione migliore credo sia quella che Lidia Cirillo dà, ossia il modo in un cui un’epoca, una società, un gruppo umano vivono l’appartenenza all’uno o all’altro sesso. Questa definizione sottolinea il legame tra il genere e il sesso biologico e al tempo stesso individua la non stabilità della categoria e la sua capacità di mutare in base al tempo e allo spazio. Il genere delle società pre industriali non è uguale al genere oggi, così come il concetto di genere in Europa oggi non è lo stesso di quello nei paesi latino americani. Il modo in cui un gruppo umano vive quest’appartenenza all’uno o all’altro sesso è regolamentato, scritto, imposto, dal patriarcato. Il patriarcato è prima di tutto un sistema di potere, la cui origine è lontana, e risale al passaggio dal nomadismo al sedentarismo delle comunità umane, e alla conseguente divisione dei compiti del lavoro. Lavoro, produzione e riproduzione determinano la divisone in genere e la nascita del patriarcato. Adrianne Rich 1976 definì il patriarcato come il potere dei “padri”, un sistema socio-familiare, ideologico, politico in cui gli uomini con la forza, con la repressione diretta, o attraverso tradizioni, leggi, linguaggio, abitudini, educazione e divisione del lavoro determinano quale ruolo compete alle donne; un sistema in cui la femmina è ovunque sottoposta al maschio. Il patriarcato, come tutti i sistemi di potere, ha una forte capacità di mutare e di riadattarsi in base ai contesti. Guillaumin afferma che il dominio maschile ha rappresentato il mondo attraverso opposizioni, che sono ormai talmente incorporate, socialmente incarnate, da sembrare “naturali”. Il maschile si è sempre definito per negazione: maschile, virile, è ciò che non è femminile, nel senso che è tanto più maschile quanto più si allontana dalla definizione di femminile. Un altro concetto lega perfettamente genere epatriarcato , ed è quello di eteronormatività. L’eteronormatività è un prodotto storico e sociale di controllo della sessualità che stabilisce a livello simbolico, discorsivo e sociale l’eterosessualità come unica sessualità normale. William Reich, Foucault e non per ultimo Preciado hanno analizzato il significato del controllo delle sessualità e il dominio dell’eterosessualità come momento di riproduzione del dominio del binarismo di genere e del controllo maschile sulla società. La cellula più piccola ma massima resistenza dell’eteronormatività è la famiglia: in qualsiasi momento storico, in qualsiasi forma essa si rappresentava, ha assolto il compito di mantenere gli essere umani divisi tra maschi e femmine eterosessuali, e di educare i figli secondo norme strumentali al potere. La famiglia riproduci i meccanismi per la stabilità delle gerarchie dei ruoli nella divisione del lavoro. Gay, Lesbiche, Transessuali, Travestite, Intersesuati, prostitute, effemminati, atti sessuali anali, sadomasochisti o fetish rappresentano qualcosa che è fuori dalla norma, qualcosa di non normale perché mina la divisione di genere e la sessualità riproduttiva.
Il patriarcato è riuscito perfettamente a mutare e integrarsi, mantenendo il proprio controllo con i mutamenti sociali avvenuti con le rivoluzioni industriali e con l’avvento del capitalismo. Con l’avvento del capitalismo si assiste ad una modifica dei ruoli di genere in relazione al nuovo modello di produzione e contemporaneamente alla normalizzazione delle sessualità riproduttive. Engels ne “L’origine della famiglia” intuì che la produzione e la riproduzione della vita immediata si compone di due aspetti, la produzione dei mezzi di esistenza e la produzione degli esseri umani stessi. Individua cioè il legame tra capitale e patriarcato che trova nella famiglia la rappresentazione perfetta di dominio: nucleo di riproduzione delle leggi economiche e delle leggi patriarcali e luogo di riproduzione di forza lavora.
Questa intuizione che in qualche modo fu un accenno al legame tra genere e classe non fu approfondita né da Engels nè dai marxisti successivi. Ciò ha contribuito a far sì che le categorie marxiste rimanessero “sex blind”. Il legame tra marxismo e genere è stato sviluppato solo successivamente da alcuni intellettuali marxisti ma quello di cui mi interessa parlare è il contributo dei movimenti lgbt a questa riflessione.

I movimenti femministi e i movimenti di liberazione omosessuale diedero un contributo enorme perché politicizzarono il sesso, le relazioni personali, le forme di convivenza e al tempo stesso sessualizzarono la politica e il fare politica.
Il lancio di quella bottiglia da parte di Sylvia Rivera, una trans, nel 1969, contro l’ennesima violenza della polizia in un locale gay, inizio di riot che durarono settimane non aprì solo la strada per la rivolta frocia in tutto il mondo occidentale, ma rappresentò di più. Con la comunità lgbt si schierò per prima la comunità afroamericana. Soggetti che non si sentivano rappresentanti da nessuno.
In strada gay lesbiche trans neri e studenti mostrarono l’unione di esclusi ed oppressi. Mi soffermo su questa fase perché ritengo sia un momento essenziale per comprendere meglio l’attualità. I movimenti di liberazione omosessuale nacquero con una forte impronta rivoluzionaria perché ciò che puntavano a mettere in discussione era la società intera. Non per primi ma con maggiore forza e visibilità questi movimenti denunciavano la violenza omofoba dello Stato e della vita borghese, ma al tempo stesso sferravano duri colpi contro i paesi del socialismo reale; il messaggio e l’elaborazione politica che ci hanno consegnato quei movimenti, così come quelli femministi, è quello che ancora oggi ripetiamo: “la rivoluzione sarà sessuale o non sarà”. Uno slogan anticapitalista, antistalinista e antipatriarcale. Veniva rimarcata l’esigenza di messa in discussione della norma sessuale di genere, da parte anche dagli stessi compagni rivoluzionari.
La lotta di classe e il marxismo non cancellano l’oppressione di genere compagni, se non accompagnati e integrati con una pratica e teoria femminista e lgbtq. Quello che i movimenti lgbt e femministi degli anni 70 ci hanno trasmesso, è che il patriarcato, e quindi il sessismo e l’omotransfobia resistono come oppressioni ai cambiamenti di sistemi economici e sociali perché parte integrante della cultura di ognuno di noi, e che ancora la classe dominante, attraverso l’istituzione della famiglia, dei riti religiosi, dei simboli e delle culture controlla le nostre vite attraverso anche il controllo delle sessualità.
I movimenti radicali degli anni 70 sessualizzarono l’anticapitalismo e parte del marxismo rivoluzionario.
Ma questi movimenti risentirono delle trasformazioni politiche sociale ed economiche degli anni Ottanta e Novanta ovviamente. Per una serie di motivi di cui non abbiamo il tempo ora di parlare, iniziò un processo di “istituzionalizzazione” del movimento lgbt e di una ricerca di un posto all’interno della società. A differenza degli altri movimenti quello lgbt dovette confrontarsi con l’avvento dell’AIDS e con lo stigma che la società impose sui corpi e le vite di lesbiche gay e trans. Il periodo dell’Aids, gli anni ottanta e inizio Novanta, segna un punto di svolta completo per il movimento lgbt occidentale. Se il centro della lotta era stata la rivoluzione e la liberazione sessuale, fu proprio del sesso, dei corpi e del contatto che si iniziò ad avere paura. L’epidemia di AIDS falcidia la comunità gay restituscire rinnovato vigore all’omofobia e costringe ad un attivisimo strategico contro lo stigma che collega la malattia alle pratiche sessuali. Parte del movimento morì, e i rimanenti che trovarono le forze proseguirono una battaglia che doveva essere ridimensionate. Nacquero le prime associazioni istituzionali e nacque un nuovo linguaggio che rivendica inclusione.
La teoria queer non a caso nasce agli inizi degli anni Novanta per opera di Teresa de Lauretis e successivamente di Judith Butler. Fu una risposta diversa post AIDS; fu la volontà di mantenere viva la radicalità del movimento. Il termine queer fu scelto perché rivendicava un termine offensivo, un termine politicamente scorretto al posto di omosessuale e lesbica. E queer veniva accostato a teoria, perché fu in ambito universitario che la teoria nacque. Il movimento lgbt mainstram aveva iniziato a rivendicare il riconoscimento delle identità lgbt, la teoria queer invece si pone l’obiettivo di decostruire la dicotomia omosessuale/eterosessuale destabilizzando tutte le identità sessuali fisse. La teoria queer, a differenza dei movimenti degli anni 70 dimentica Marx, e trova le sue basi teoriche in Foucualt, Deluze, Derrida e afferma la necessità e possibilità di decostruire le identità sessuale e di genere come unico strumento di liberazione reale. Pone l’accento su tutte le sessualità e identità tenute ai margini dalla “norma”, come i sadomasochismi, i soggetti intersex e transgender, le relazioni non monogame, le sessualità delle sex worker, la rivendicazione di corpi non normati e imperfetti. Dato interessante è la convergenza che la teoria queer ha trovato con parte del movimento trans e lesbico radicale nel denunciare la mascolinizzazione dei linguaggi e delle pratiche dell’associazionismo lgbt mainstream attuale, con rappresentanti maschi, linguaggi sessisti e pratiche follocentriche;
Judith Butler si sofferma nei suoi studi sulla figura della drag queen come figura emblema della funzione della riproduzione delle categorie di genere. La drag queen è un soggetto che noi tutti riconosciamo come un uomo biologico che indossa abiti femminili portati all’estremo (grandi seni, trucco femminile pesante, alti tacchi). Guardando una drag queen noi tutti pensiamo “è un uomo vestito da donna” e il ragionamento che facciamo è “è un uomo perché nessuna donna si veste così” ed è vestito da donna perché quelli sono tipici abiti femminili. Se parliamo con una drag queen ci viene quasi spontaneo adeguare il linguaggio e il genere della lingua al femminile nonostante sappiamo che è un uomo. Questo paradosso è la vita del binarismo di genere, fatta di ripetizioni e di associazioni tra oggetti, costumi, parole e atteggiamenti da uomo e da donna. La teoria queer, che trova molto successo negli ambienti anarchici, propone formule di resistenza quotidiana per la liberazione degli individui, attraverso la messa in discussione della sessualità e la performazione del genere, attraverso l’azione individuale di decostruzione degli stereotipi e dei linguaggi. Il queer è un campo molto vasto ma è caratterizzato soprattutto dall’attenzione al superamento di tutte le oppressioni di un singolo individuo attraverso una lettura interiezionale, che lega cioè genere, razza e sessualità.
Ma la teoria queer può essere utile a dare le risposte di cui oggi abbiamo bisogno? Il legame tra anticapitalismo e queer può essere qualcosa che aiuta a leggere e distruggere una situazione che più che mai si raffigura in maniera complessa?
Il capitalismo è oggi il sistema economico che si estende per la prima volta praticamente su tutto il globo ed è un sistema che fa i conti sia con le sue crisi economiche che con le sue forze politiche interne.
Il capitalismo ha un solo obiettivo, fare profitto maggiore con il minor investimento possibile mantenendo la propria egemonia. Le forze interne, la storia del patriarcato e le relazioni imperialiste rendono sessuata e genderizzata la produzione e la ricerca di profitto, perché regolamentano altre oppressioni e gerarchie di controllo e sfruttamento.
Cito tre esempi che credo possano facilitare la raffigurazione della situazione attuale:
-  il primo è il referendum del maggio 2015 in irlanda con il quale è stato introdotto il matrimonio omosessuale all’interno della Costituzione. E’ interessante il caso perché la campagna a favore del referendum è stata una campagna fortemente filoeuropeista, perché individuava nella vittoria del referendum un avvicinamento dell’Irlanda ai paesi del Nord Europa. I sostenitori del referendum parlavano di una vittoria necessaria per un’integrazione europeista. Cito l’Irlanda perché paese cattolico, che ha visto la vittoria del referendum ma che mantiene all’oggi illegale il diritto all’aborto.
-  il secondo è il caso degli Stati Uniti. L’anno scorso la Corte Suprema americana ha dichiarato diritto costituzione il diritto al matrimonio omosessuale, giustificando questa scelta a partire dal riconoscere la famiglia come pietra miliare dell’ordine sociale americano. A giugno di quest’anno invece il Dipartimento della Difesa ha dichiarato che nei prossimi 12 mesi verrà tolto il divieto per le persone trans di fare parte dell’esercito statunitense.
-  Il terzo caso invece fa riferimento al terribile attentato di Orlando dello scorso mese. Dopo l’attentato tutto il mondo politico comprese le personalità della destra conservatrice , tra cui lo stesso Trump, non hanno solo espresso cordoglio verso la comunità lgbt ma hanno rinnovato la dichiarazione di guerra contro l’Islam in difesa anche degli omosessuali e lesbiche.

A partire da questi tre esempi possiamo affermare che il capitalismo ha sviluppato una capacità maggiore di far convivere al suo interno contraddizioni enormi, senza per questo indebolire la sua egemonia. Cogliere le contraddizioni, svelarle e far leva su esse è il compito storico dei rivoluzionari. Sempre dagli esempi possiamo individuare due macro fenomeni presenti nei paesi a capitalismo avanzato, che si sono sviluppati dagli anni Novanta ad oggi:
• Il primo fenomeno è la formazione di una classe media gay e, in misura minore, lesbica, caratterizzata da un determinato standard di vita e forme di consumo, che si è affermata sempre più come la faccia rispettabile o integrabile della comunità lgbitq, a esclusione degli altri. Si è creata una nuova norma, un’OMONORMATIVITA’ che si affianca all’eteronormatività nell’indicazione di quelli che sono i canoni di bellezza, di sessualità corretta, di stili e progetti di vita. La necessità di controllare la sessualità e di non destabilizzare il ruolo della famiglia ha portato il capitalismo ad aprire spazi di inclusione anche per famiglie non eterosessuali, con l’obbiettivo di mantenere centrale quest’istituzione, di sgonfiare le fila dei movimenti lgbt, e di creare una facciata buonista e avanzata per rafforzare il livello di civilizzazione dell’Occidente. Cittadini modelli sono cittadini che producono e consumano, che creano famiglie e che vivono secondo i canoni dell’amore coniugale, sia esso eterosessuale o omosessuale. Così si raggiunge l’obiettivo di tenere esclusi da qualsiasi norma soggetti non conformi dal punto di vista di genere o di identità sessuale, quali transgender, intersex, soggetti dal genere fluido o soggetti che vivono in relazioni affettive aperte. L’omonormatività e l’inclusione di una classe media gay è mediata soprattutto dal mercato, e molto meno dalla politica istituzionale, che gioca un peso minore.
• La creazione di queste forme di identità sessuali omonormate diventano ovviamente facilmente cooptabili e strumentalizzabili all’interno non solo del neoliberalismo ma anche di progetti politici nazionalisti o razzisti. L’immagine diffusa nel 2002 dalla Difesa Israeliana di due soldati mano nella mano rappresenta perfettamente il fenomeno dell’omonazionalismo, il sentimento nazionale ritrovato da parte degli omosessuali e delle lesbiche di fiducia e senso di appartenenza di uno Stato che inizia a riconoscerli, verso il quale dare riconoscenza. Lo Stato che fino a ieri non ci ha riconosciuti inizia oggi a usare le nostre identità per rafforzare il proprio statuto democratico e civlizzator, e soprattutto per dividere un’omosessualità normale e giusta occidentale da pratiche sessuali e stili di vita incivili di altri paesi. All’omonazionalismo si affianca il pinkwashing, l’arruolamento della tematica gay per finalità politiche; una prassi che alcune destre applicano da molti anni. Paesi Bassi e Israele sono gli esempi migliori, il primo con politiche antimigratorie e il secondo con politiche imperialiste note, che sciacquano però di un rosa democratico e civile. Chi difende i gay e la famiglia gay è più civile e democratico di altri.
Questi fenomeni fanno i conti con le diverse storie politiche, culturali e religiose dei paesi Occidentali, dove rimangono vive più che mai resistenze reazionarie fasciste e poteri religiosi ma in qualche modo rendono perfettamente bene l’idea di cosa sia cambiato rispetto agli anni Settanta.
Queste due tendenze sono presenti nei paesi a capitalismo avanzato, per questo non comprendono i paesi dell’est Europa, dove si stanno sviluppando dinamiche diverse che non abbiamo tempo oggi di approfondire.
La teoria queer senza dubbio è uno strumento utile per cogliere le contraddizioni del sistema. Inoltre negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad una diffusione di realtà politiche queer, legate a volte con aree politiche precise, slegate da settori politici ma anzi fonte di politicizzazione radicale altre . Le realtà politiche queer sono attraversate soprattutto da giovani o giovanissimi, e questo credo sia un altro elemento interessante. A distanza di 15/20 anni non è facile descrivere oggi il panorama dell’attivismo queer, ma possiamo in qualche modo individuare i caratteri di questa teoria politica che possono esserci utili e quelli invece che rappresentano dei limiti. Due limiti minori del queer sono
• Teoria occidentalista/occidentalocentrica, che analizza cioè le identità sessuali e di genere solo dei paesi occidentali
• Linguaggi sempre più difficili e complessi, e questo fa sì che i testi e le analisi siano fruibili solo da una cerchia ristretta di intellettuali
Ma i limiti maggiori sono quattro:
• Teoria che giustamente pone l’intersezionalità come chiava di lettura delle identità oppresse, ma la propone senza un obiettivo della lettura; il rischio di non porsi un obbiettivo nella lettura è quello di produrre infinite frammentazioni
• Teoria che descrive i processi senza analizzarne le cause e senza trovare connessioni causali. Considera la performatività senza contestualizzarla in un processo storico di causa – effetto, ma come semplice fatto storico senza storia. Insomma è una teoria che non parte delle condizioni materiali delle soggettività ma solo da una lettura teorica delle oppressioni fuori.
Questo limite fa sì che spesso ci sia un oscurantismo dell’oppressione secolare delle donne riconosciute e oppresse come tali.
• Teoria che propone soluzioni di liberazione individuali e individualistiche. La performazione e la sperimentazione che ognuno fa su e con il proprio corpo, le pratiche sessuali e il livello di autodeterminazione di sé sono utili, ma fini a sé stessi se non contestualizzate in una società. L’atto performativo non basta di per sé, la decostruzione dei ruoli, del genere e delle sessualità non basta perché non si misura con i dispositivi e con le istituzioni di potere.
• L’ultimo limite coincide con la forza positiva del queer. Il queer indica il dito contro il nemico che tutti abbiamo dentro. Il sessismo, l’omofobia, sessualità repressa sono dispositivi che culturalmente ci sono insegnati e che riproponiamo, e rimettere questo al centro del discorso politico è stato importante. Ma troppo spesso sembra che la teoria queer dimentichi che oltre ad un nemico interno esiste un nemico esterno, esiste il potere del capitalismo e del patriarcato e hanno sedi, linguaggi, rappresentanti che vanno sconfitti.
I limiti fanno della teoria queer qualcosa di inutile? No. A partire dai limiti dobbiamo essere in grado di raccogliere il meglio di questa produzione. Essere consapevoli che un legame con il marxismo rivoluzionario può esserci a partire dalla lettura materialista che il marxismo offre. L’analisi marxista arricchisce il queer e svela meglio le contraddizioni delle dinamiche dei settori della classe. Il contributo teorico che gli studi queer offrono è enorme e dobbiamo apprenderlo, contestualizzarlo, utilizzarlo per le nostre vite ma essere in grado poi di declinare la teoria in una pratica rivoluzionaria. Dobbiamo essere a fianco delle battaglie del movimento lgbt mainstream e combattere per l’autodeterminazione e per i diritti delle identità oppresse, battaglie che aggregano persone e potenziali vittorie che indeboliscono le forze reazionarie, e battaglie che rappresentano la modalità con cui si esprimono maggiori settori della casse. Ignorare questo fatto costituisce un avanguardismo snob utile solo alla mera produzione intellettuale. Esiste un programma di transizione per la liberazione dei soggetti lgbtiq e dobbiamo sostenere le forze che lottano per questo, senza illuderci che possa esistere libertà vera in un sistema di sfruttamento e oppressione, ma consapevoli che esistono condizioni di vita migliori. Dobbiamo radicalizzare il movimento lgbtiq proponendo battaglie e obiettivi raggiungibili con parole d’ordine chiare che parlano alle oppressioni reali, e puntare sempre a qualcosa di più alto, senza rinunciare mai alla critica della famiglia e dell’omonormatività. Dobbiamo creare relazioni tra i movimenti sociali, coalizioni strategiche tra i vari soggetti oppressi. Un anticapitalismo queer è possibile e necessario qualora queer si intenda un’identità politica e non un’anti identità, qualora
Qualora con queer si vuole affiancare all’anticapitalismo una critica dell’eteronormatività e dell’omonormatività, qualora con queer si voglia tenere costante la lettura attenta delle dinamiche di costruzione e riproduzione del genere, della sessualità e delle gerarchie interne. Un anticapitalismo queer è necessario però anche a partire dalla consapevolezza che il superamento del capitalismo è una condizione necessaria per qualsiasi ipotesi di sperimentazione liberatrice di nuove forme di relazionalità, affettività e desiderio. L’anticapitalismo queer quindi può essere un progetto politico di liberazione dell’oppressione lgbt qualora punti al superamento del genere e delle identità sessuali a partire dalla costruzione e pratiche che decostruiscano le condizioni materiale in cui oggi il genere e le oppressioni specifiche esistono, a partire, di conseguenza, dagli obiettivi delle battaglie identitarie e radicalizzarli verso una prospettiva dell’identità stessa. Fin che le relazioni familiari e affettive rimarranno responsabili del ruolo di riproduzione sociale all’interno delle società capitalistiche, qualsiasi forma di “famiglia” o relazione affettiva duratura sarà soggetta alle limitazioni oggettive imposte dall’accumulazione capitalista. Cinzia Arruzza nè Le relazioni pericolose scrive che “il queer vuole decostruire il genere, come il socialismo vuole decostruire la classe. Così come il socialismo punta al superamento della divisione in classi, così il queer mira al superamento del genere”. Bene, troviamo le contraddizioni del sistema da cui partire per costruire la strada che porterà alla rivoluzione per il superamento delle classi e dei generi.


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